I CARE


di Luigi Nicola Bruno

Don Milani amava ripetere “I CARE”, che vuol dire mi interessa, mi appartiene, il suo significato è l’esatto contrario di me ne frego! Si è veramente uomini appartenenti ad un contesto sociale se non si rimane indifferenti alle gioie e ai dolori del prossimo. La società oggi ha bisogno di persone che si assumono le proprie responsabilità, che mantengono gli impegni promessi e che siano onesti prima di tutto con se stessi e dopo con gli altri. Purtroppo c’è chi storce il naso quando deve fare un favore che magari a lui non costa nulla, ma rende tanto a chi lo riceve o peggio c’è chi ha in mano il potere per far si che i bisognosi ricevono adeguati accorgimenti eppure pensa solo a se stesso o a chi vicino a lui. Oggi non è più un problema di essere cristiani o meno, per far del bene basta la cultura dell’altruismo, che molte volte viene a mancare anche alle persone che si definiscono dei buoni cristiani. Ancor di più l’essere volontario, l’interessarsi dei problemi altrui e cercare di alleviarli non è sempre facile, molte volte è la cultura che ognuno di noi ha dentro ad essere di ostacolo verso una visione altruistica. Chiereghin diceva che: “l’atto del donare discende dalla libertà, proprio perché chi dona non è costretto da nulla, non solo, ma chi dona ha un tale rispetto nei confronti di colui nei confronti dei quali il loro dono è rivolto, che non esige nulla in contraccambio quando autenticamente dona..... Da questo punto di vista l’atto del donare è da un lato espressione di libertà per chi dona, ma dall’altro lato è anche suscitatore di libertà in chi lo riceve”. La vera chiave per spingere una persona verso un gesto di volontariato è proprio il pensare che prestare un aiuto volontario a chi ne ha bisogno è un atto che suscita libertà in chi lo riceve. Il volontariato deve essere inteso in senso ampio, deve far parte della cultura e del modo di essere di una persona e non solo una forma ben delineata verso un singolo aspetto. Basti pensare che non si può essere tutti uguali, non solo fisicamente ma anche nel modo di pensare (per fortuna). Quando pensiamo alle persone diversamente abili, pensiamo il più delle volte a persone che sono costrette a stare su una sedia a rotelle, ma non è questo l’unico modo di essere tali. Essere diversamente abili, lo dice anche il termine, vuol dire essere incapace di fare qualche azione che comunemente gli altri possono fare. Se ci spingiamo ai limiti di questa affermazione si potrebbe arrivare a pensare che è diversamente abile chi oggi è adulto ma non guida l’auto! Voglio far capire che tutti siamo diversamente abili in un modo o nell’altro, perché ognuno di noi ha caratteristiche e capacità di azione e pensiero che gli sono proprie e, per questo, distinte da quelle di qualunque altra persona. Quindi sotto questo punto di vista arriviamo a vedere le cose sotto un altro aspetto e a renderci conto di quanto noi possiamo essere di aiuto agli altri e di quanto gli altri possano essere di aiuto a noi. La civiltà di una sociètà oggi erroneamente si tende a misurarla sempre più con i traguardi raggiunti dalla tecnologia e ci si dimentica che dall’altra parte di un cellulare di ultima generazione con telecamera e melodie polifoniche c’è una persona che magari è a pochi passi da noi e che sarebbe meglio incontrare per fare due chiacchiere di persona. Quindi, non nascondiamoci dietro alla tecnologia, riscopriamo i valori dell’amicizia dello stare insieme e di aiutarsi a vicenda perché queste cose oggi si stanno perdendo. Nei paesi come Acri ancora non ci si rende pienamente conto dell’importanza di queste cose perché ancora esistono, ma nelle grandi città si soffre.

Pubblicata il 2/1/2008
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